Luigi di Tullio nasce a Milano nel 1964. Da sempre dipinge e scrive poesie. Giovane autodidatta, dalla folgorazione per l’incontro con la pittura dell’americano William Congdon sente la necessità di una guida artistica e si avvicina allo scultore Giacomo Sparasci, che lo accompagnerà per diversi anni attraverso il tirocinio della tecnica pittorica.

Alla fine degli anni Novanta la sua pittura è incentrata su una figurazione sfuggente, galleggiante sulla superficie del quadro che si apre come spazio, mentre già si addensano i primi rilievi di colore: sono i cicli delle Sospensioni. Sono anni di ricerca febbrile, affiancati anche da un’intensa attività poetica.

Segue un intenso ciclo di opere, che intitolerà Appartenenze. C’è una materia quasi ostentata in queste opere, estranea tuttavia alle memorie informali, perché continuamente condotta sul limite della rarefazione, dell’astrazione, che sempre la materia prepara; ma quell’astrazione, che di Tullio costantemente ritrova, è la linea, intesa come luogo geometrico e come anelito spiritualizzante, rappresentato anche dalla scelta monocroma per le sue opere.

Continuerà ad emergere, negli anni, la compresenza dei due limiti di astrazione e materia, di presenza e assenza, che si toccano, si trasfigurano e si scambiano: la linea, sopra tutto, emerge dal fondo monocromo della materia, quale anelito pacificante che tende all’infinito. All’inizio degli anni 2000 è nel ciclo delle Attrattive che l’artista innesta un altro elemento importante della sua poetica: l’introduzione di materiali anomali nella pittura, come cementi, resine, smalti, generando forti tensioni tra elementi irriducibili.

Nel 2003 la Galleria PoliArt di Milano lo accoglie fra i suoi artisti, dedicandogli due personali in cinque anni e portando le sue opere in tutte le più importanti fiere d’arte. Alla PoliArt conosce Julio Le Parc, Alberto Biasi, Riccardo Licata, Paolo Conti e il critico d’arte Giovanni Granzotto, che apprezza il suo lavoro. Nel 2005 è invitato, dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Cervia, ad una doppia mostra personale con Sandro Martini, nei monumentali Musei degli Antichi Magazzini del Sale, con un catalogo a cura di Leonardo Conti.

Seguono nuovi cicli come gli Innesti, i Soffi, i Rilievi i quali rientrano tutti nel grande ambito delle Appartenenze, che resta il fulcro della ricerca più attuale. Dalla tela la materia comincia da emergere in modo preponderante come se volesse liberarsi della sua bidimensionalità. Comincia così un nuovo periodo in cui la scultura prende il posto della pittura. Le opere di questi anni colgono il paradosso formale in cui si muove la ricerca di – di Tullio -, tra “sculture” che non s’innalzano e “oggetti” che si staccano dalle pareti.

Nei cicli TOTUS TUUS e successivamente nelle Sculture Basse (Humus), la luce riverbera dai monocromi rossi, neri e bianchi di queste morbide e rigorose opere di terra e d’onda, in cui i colori puri divengono forme plastiche dislocate sulle pareti e sul pavimento. Ogni forma primaria pare deformata dall’adattamento alle sollecitazioni dell’ambiente circostante e innesca una mobilità nell’ambiente stesso, nel quale anche l’osservatore è immerso.

L’effetto è quello di una sorta di neo-minimalismo dinamico, in cui ogni opera è presa tra le forze contrapposte di espansione e compressione. Tutto spinge verso l’infinito, verso un modo nuovo di rapportarsi al reale, più vero e intenso. Humus, in latino la terra, è l’origine da cui continuamente l’uomo si allontana per poi ritornarvi, è la metafora di ogni appartenenza, anche culturale, storica e geografica, intesa come tensione tra identità e divenire., come in un campo sterminato o persino un mare, riverberato d’onde luminose.

Luigi di Tullio è attualmente impegnato in una ricerca che si avvale delle strumento fotografico in stacco e continuità con il suo percorso artistico. Un fotografia in cui l’oggetto perde la forma compiuta  e la sua autoreferenzialità per far emergere un nuovo punto di vista sulla realtà, in cui il mistero si insinua proprio sotto i nostri occhi. Le sue opere sono presenti nelle più importanti collezioni private.